GIORGIO PETRACCO – GIULIA PETRACCO SICARDI – SERGIO MUSSI
A) Premessa
Intervenendo alla giornata di studio su Poteri, territorio e popolamento in Val di Taro tra antichità e medioevo, svoltasi a Berceto il 2 luglio dello scorso anno, abbiamo illustrato i primi risultati, relativi alla Via di Monte Bardone e ai Toponimi del Privilegio di Re Ugo, del lavoro di ricerca, compiuto insieme negli scorsi anni e tuttora in corso, sul territorio di Berceto ed il suo monastero. Nella stessa occasione ci eravamo impegnati a parlare in questo 2012, in cui ricorre il XIV centenario dell’ascesa al trono del re longobardo Liutprando, a cui si deve la fondazione dell’abbazia di Berceto, dell’origine del toponimo Berceto e degli inizi della storia del monastero nella prima metà dell’VIII secolo. Assolviamo oggi a questo impegno.
B) L’origine del nome di Berceto
B1) la ricerca
All’inizio della nostra analisi potevamo basarci su alcuni elementi sicuri e su altri più incerti. Sapevamo innanzi tutto che Berceto è un fitotoponimo composto dalla radice berc- e dal suffisso latino –eto, usato per definire la presenza in un luogo di un’associazione di alberi, o comunque di piante, dello stesso tipo: di conseguenza la radice berc-, che non è latina, doveva indicare una pianta. Conoscevamo la pronuncia dialettale Berséi/Barséi, con vocale protonica indistinta, che, oltre che a Berceto, può corrispondere anche a *Bercetis. Avevamo inoltre due attestazioni certe dell’VIII secolo d.C., Verceto e Bercetum, che confermano come in quel tempo fosse ancora vivo il betacismo latino. Meno sicura era invece la corrispondenza fra Berceto e i saltus praediaque Berusetis dei Coloni Lucenses nella Tavola di Veleia (TAV. VI, 66), che sembravano rimandare a una base *beruso-, anch’essa certamente non latina.
Si poteva inoltre contare sulla scoperta da parte del Pieri di una serie di toponimi analoghi a Berceto (Berci, Berceta, Bercete, Berceti, Bercio), concentrati in una zona ristretta di alta collina situata a nord di Pescia, intorno al confine fra le province di Lucca e Pistoia, in cui lo studioso aveva ravvisato una possibile derivazione locale dal latino quercus ‘quercia’. Lo stesso Pieri ammetteva di non conoscere altri casi di evoluzione dal qu- latino in b-, ma va considerato che vi sono toponimi chiaramente derivati da quercus tutt’intorno a quella zona, dove la quercia è diffusamente presente, ma non all’interno di essa. Abbiamo quindi pensato di verificare se si potessero trovare altrove in Italia dei toponimi riconducibili alla radice berc- e alla presenza di querce. La ricerca ha evidenziato la presenza di toponimi con queste caratteristiche in un’ampia zona dell’arco appenninico e alpino, dal Mugello al corso dell’Adige, che ne costituiscono i limiti estremi. Inoltre abbiamo scoperto altre due zone di particolare addensamento, che abbiamo chiamato ‘Leponzia’ e ‘Camuna’, perché coincidenti esattamente col territorio di queste due popolazioni, che furono sottomesse dai Romani solo sotto Augusto, alla fine del I secolo a.C., e conservarono anche successivamente una larga autonomia. Abbiamo chiamato invece ‘Sengauna’ la zona individuata dal Pieri, perché coincidente con l’area in cui nella tavola Peutingeriana è riportata la scritta Sengauni, popolazione non altrimenti attestata nelle fonti .
All’elenco che segue, probabilmente non esaustivo, abbiamo aggiunto alcuni esempi significativi di toponimi francesi e spagnoli. Nell’elenco sono compresi anche alcuni toponimi con radice perc-, che si differenziano da altri toponimi della stessa zona solo p per la al posto della b. Abbiamo preso in considerazione anche molti toponimi inizianti con verc-/ vers-/ verz-, ma solo quando era ragionevole pensare che fosse intervenuto il betacismo, e quindi in assenza di altre possibili etimologie. Anche per i toponimi inizianti con berc-/ bers-/ berz- abbiamo cercato di fare una selezione prudente, giacchè, prima di ritenerli legati alla presenza di querce, andava sempre considerata anche la possibilità che avessero alla base uno dei termini, derivati verosimilmente dalla stessa radice, indicanti, attraverso il significato traslato ‘rami o fronde d’albero’, cose con essi costruite. Tali sono la voce medioevale bersa ‘siepe di rami intrecciati’, ‘recinto per la caccia’, ma in Italia settentrionale piuttosto ‘recinto per la sosta notturna degli animali’, o il ladino bércia ‘capanna’, ma anche ‘diga’ ‘argine’.
Abbiamo poi fatto una controverifica, necessariamente non approfondita, sulla distribuzione dei toponimi derivati da robur e cerrus in Italia settentrionale, dove sostituiscono quercus per indicare la quercia, e non ne abbiamo trovato nessuno all’interno della zona ‘Leponzia’ e solo Lovere (8) all’interno dell’area ‘Camuna’. Tre toponimi derivati da robur e cerrus si trovano subito fuori dell’area ‘Leponzia’: Rovere, Valmozzola (PR); Rovere, presso Brissago, sul Lago Maggiore, Roveredo, a nord di Lugano e un altro Roveredo in Val Mesolcina.
B2) I toponimi
a) Zona ‘Sengauna’
1. Bercete, presso Pian degli Ontani, com. Cutigliano (Pistoia), a circa 900 metri.
2. Berceti (Cima dei -), presso Pontito, com. Vellano (Pistoia), a circa 750 metri.
3. Berci, presso Castelvecchio, com. Vellano (Pistoia), a circa 450 metri.
4. Bercio, presso Cológnora, com. Villa Basilica (Lucca), a circa 600 metri.
5. Berceta, presso Pariana, com. Villa Basilica (Lucca), a circa 600 metri.
6. Bercete (alle -), in comune di Villa Basilica (Lucca), a circa 400 metri.
7. Berci (Pian dei -), nel comune di Bagni di Lucca (Lucca), a 145 metri.
8. Vérciola, presso Corsagna, com. Borgo a Muzzano (Lucca), a circa 400 metri.
9. Vércina, presso Gioviano, com. Borgo a Muzzano (Lucca), a circa 280 metri.
b) Appennino tosco-emiliano
1. Berceto, dial. Bersèi, è attestato all’inizio del II secolo d.C. (Tav. Veleia) come Berusetis, nel 754 è Verceto, nel 787 Bercetum, nel 927 Bercedo. E’ in provincia di Parma a 808 metri.
2. Versóla, in val d’Antena, com. Pontremoli (Lunigiana), a 500 metri.
3. Berzola, dial. a Bersóla. Si trova sul torrente Parma, com. Langhirano (Parma), a 300 metri.
4. Bersatico, sull’altra sponda del Parma, com. Lesignano de’ Bagni (Parma), a 270 metri. 5
5. Villaberza, nel 976 ‘in loco et fundo Villabarce’. E’ in comune di Castelnovo nè Monti (Reggio E.), a 613 metri.
6. Bercio (Colle del -), presso Piandelagotti, com. Frassinoro (Modena), a 1093 metri.
7. Verzuno, nell’alta valle del Reno, in comune di Camugnano (Bologna), a 281 metri.
8. Berceto. Si trova nel Mugello presso Pomino, com. Rufina (Firenze), a 600 metri.
c) Entroterra ligure
1. Verzi, in val Fontanabuona, in comune di Lorsica (Genova), a 405 metri.
2. Persi, in val Borbera, a 2 km. da Borghetto Borbera (Alessandria), a 262 metri.
3. Berci (Pian dei -), in val Borbera, in comune di Mongiardino Ligure, a circa 700 metri.
4. Verzi, in comune di Finale Ligure (Savona), a 120 metri.
5. Verzi, in comune di Loano (Savona), a 183 metri.
6. Berzi, in comune di Baiardo (Imperia), a 583 metri.
d) Piemonte e Lombardia
1. Verzuolo, dial. Verzéul, allo sbocco della val Varaita (Cuneo), a 420 metri. Nel 1155 è Verzolo, ma nel 1294 Versolio.
2. Mombercelli, dial. Mombërséj, in provincia di Asti, a 233 metri. Nel 1142 Montebarcarium, che è però attestazione isolata, perché dal 1165 abbiamo sempre Montebersario.
3. Berzonno, in comune di Pogno (Novara), presso il lago di Orta, a 450 metri.
4. Barzio, dial. Bars, in Valsassina (Lecco), a 767 metri.
5. Vercéia, in val Chiavenna, presso il lago di Mezzola (Sondrio), a 228 metri.
6. Verzedo, nell’alta Valtellina, presso Sondalo (Sondrio), a 970 metri.
7. Bercio, frazione di Sotto il Monte (Bergamo), a 230 metri.
8. Presionico, località scomparsa, situata presso Bonate (Bergamo) a 230 metri. Nel IX e X secolo ‘..in loco et fundo Presionico’. Potrebbe derivare per metatesi da *loco percionico.
e) Zona ‘Leponzia’
1. Vercio (Alpe -), presso Bracchio, com. Mergozzo (Ossola), a 828 metri.
2. Barzona, in comune di Calasca, in valle Anzasca (Ossola), a 688 metri.
3. Varzo, dial. Varsc, in val Divedro (Ossola), a 568 metri. Nel 1180/81 de Varze e de Varcio.
4. Varsaia (Alpe -), in val Vigezzo, presso Coimo, com. Druogno (Ossola), a 945 metri.
5. Verzasco (Rio -), in val Vigezzo, com. Toceno (Ossola), a 800-1000 metri.
6. Berzona, in val Onsernone (Canton Ticino), a 748 metri. È Berzona anche nel 1265.
7. Verscio, a nord-ovest di Locarno (Canton Ticino), a 296 metri.
8. Verzasca (Val -), nel 1335 Verzascha, nel 1403 Versascha, nel 1475 Varsasca. Si trova a nord-est di Locarno (Canton Ticino), a 240-760 metri.
9. Berzona, in val Verzasca, com. Vogorno (Canton Ticino), a 500 metri.
10. Verzuolo, in val Verzasca, com. Lavertezzo (Canton Ticino), a 600 metri.
11. Verscio, nella valle del Ticino, com. Lodrino (Canton Ticino), a 275 metri.
12. Personico, dial. parsònic, in val Leventina (Canton Ticino), a 320 metri.
f) Zona ‘Camuna’
1. Berzo inferiore, dial. Bérs, in val Camonica, vicino a Breno (Brescia), a 447 metri. E’ Bercio nel XIII secolo, Berzio nel 1421. Si hanno attestazioni più antiche, riferibili a uno dei tre Berzo: nell’830 Berges, nel 998 Bergis, Berges ‘vico et fundo Berce’.
2. Berzo, dial. Bérs, in val Camonica, più a monte, com. Berzo-Demo (Brescia), a 785 metri.
3. Berzo S. Fermo, dial. Bérs, in val Cavallina (Bergamo), a 350 metri. Si tratta probabilmente del Bergis…fine Cauelles in suso per ualle Camonense del testamento di Taidone del 774, in cui è citata anche una ..basilice Sancti Petri sito Bergias.
4. Parzanica, dial. Parsànega, sopra la sponda del lago d’Iseo (Bergamo), a 723 metri.
5. Bersenico, in val Sabbia, in comune di Bione (Brescia), a circa 600 metri.
6. Persone, dial. Persù, in comune di Valvestino (Brescia), a 898 metri.
7. Bersone, dial. Barsún, nelle valli Giudicarie (Trento) a 637 metri. Nel 1288 ‘de Barxono’.
g) Francia
1. Bercé (Forêt de -), nel dipartimento della Sarthe, famosa per la qualità delle sue querce.
2. Berzé-la Ville e Berzé le Chateau, med. Berciacus, nel dipartimento di Saone et Loire.
3. Bersát, med. vicus Berciacus , nel dipartimento della Dordogne.
4. Bersón, nel dipartimento della Gironde.
h) Spagna
1. Bercedo, presso Santander a 950 metri. Nel 1007 è in Berezedo.
2 Bercedo, presso Burgos.
3 Berceo, a est di Salamanca.
B3) L’interpretazione
I dati raccolti permettono di confermare l’opinione del Pieri che i toponimi con radice berc-, e in particolare Berceto, si spieghino con la presenza di querce, ma con un’importante correzione: non ci troviamo di fronte a una variante dialettale di quercia, bensì a una voce indoeuropea *percus/*bercus, che doveva essere diffusa prima della conquista romana in tutta l’Italia settentrionale fino all’Adige e nell’Appennino fino al Mugello, oltre che nell’area celtica oltre le Alpi. Si differenzia dal latino quercus per la labializzazione della labiovelare kw nella radice indoeuropea originaria *kwerc-. La labializzazione delle labiovelari doveva accomunare sia le popolazioni celtiche continentali che le popolazioni liguri e celto-liguri già stanziate nell’Italia nord-occidentale nel V secolo a.C., prima della grande invasione gallica.
Le forme con radice perc– costituiscono certamente uno stadio precedente dell’evoluzione linguistica rispetto a quelle con radice berc-, ma sarebbe sbagliato attribuire a priori le prime ai Liguri e le seconde ai Celti. Il passaggio da p a b può infatti essere avvenuto nei vari luoghi in tempi molto diversi, anche in epoca medioevale, e d’altra parte in alcune zone coesistono forme con perc- e altre, molto più numerose, con berc-(o verc-, che presuppone un ber-, poi modificato dal betacismo), che potrebbero quindi essere sia forme originariamente in perc-, in cui successivamente l’iniziale p è passata a b, sia invece toponimi fissatisi in tempi più recenti, quando il nome della quercia nella parlata locale era ormai passato da *percus a *bercus.
Nell’Appennino tosco-emiliano al tempo della conquista romana l’espressione per ‘quercia’ doveva però essere già *bercus. Lo dimostrano sia la completa assenza nell’area di forme con radice perc-, sia l’attestazione nella Tavola di Veleia, dell’inizio del II secolo d.C., dei saltus praediaque Berusetis dei Coloni Lucenses la cui corrispondenza con l’attuale Berceto appare pressochè sicura. La forma scritta Berusetis può infatti provenire da un *Bercetis con l’inserimento di una vocale a risolvere il nesso rc, nello stesso modo in cui in Spagna il centro di Bercedo è riportato in un documento del 1007 come Berezedo. Inoltre nella Tavola di Veleia Berusetis è toponimo d’area, forse un vicus, e quindi non è facile pensare ad un’omonimia. Quale fosse la popolazione che nell’area di Berceto chiamava *bercus la quercia non possiamo saperlo con sicurezza, ma la presenza in questo settore della Val Taro di molti prediali con suffisso –aco, insieme con la scoperta della tomba di Casaselvatica, attribuita a un guerriero di stirpe boica, fa pensare che si trattasse almeno di genti fortemente celtizzate, se non di veri e propri stanziamenti celtici.
Più in generale, le zone marcate dalla presenza di toponimi con radice perc- o berc– dovrebbero corrispondere a quelle in cui gli idiomi locali hanno resistito più a lungo all’affermarsi dell’uso del latino. In qualche caso, e quasi certamente nella zona ‘Sengauna’, l’uso della voce *bercus per indicare la quercia può essere continuato per tutto il medioevo e forse oltre.
C) L’inizio della storia del monastero di Berceto
Degli esordi del monastero di Berceto nell’VIII secolo ci parla una sola fonte quasi contemporanea, cioè Paolo Diacono, che nella sua Historia Longobardorum, scritta probabilmente dopo il suo ritiro a Montecassino nel 786, dice che Liutprando, che fu re dei Longobardi dal 712 al 744, …in summa quoque Bardonis Alpe monasterium quod Bercetum dicitur aedificavit.. . Si tratta di una citazione molto stringata, che non ci dà una data di fondazione precisa all’interno del lungo regno di Liutprando, però il fatto stesso che proprio quella di Berceto venga citata fra le molte fondazioni di monasteri di diritto regio promosse dai re longobardi nell’VIII secolo è certamente spia dell’importanza che il monastero aveva in quel tempo e che dovette perdere progressivamente, fino a passare alle dipendenze dei vescovi di Parma alla fine del IX secolo.
Molto più ricca di notizie della storia del monastero di Berceto è la Historia Renesis Ecclesiae scritta da Flodoardo, canonico e archivista della cattedrale di Reims, intorno al 950. Da questa fonte, distante più di due secoli dai fatti di cui si scrive e di carattere agiografico, apprendiamo che: a) durante il regno di Chilperico II, che fu re dei Franchi dal 715 al 721, un certo Moderamnus (o Moderannus) fu vescovo di Rennes, b) lo stesso Moderanno, con il consenso del re, intraprese un pellegrinaggio a Roma, dopo aver preso con sé a Reims, dove erano conservate, alcune reliquie di Sa. Remigio; c) durante il viaggio, passando …in monte Bardonum.., perdette le reliquie, ma le recuperò miracolosamente, dopo aver celebrato la messa …in monasterio quod vocatur Bercetum, in honore sancti Abundii martiris inibi constructum…; d) dopo aver lasciato parte delle reliquie parte delle reliquie a Berceto, incontrò Liutprando e ne ricevette in dono il monastero con un’ampia donazione di terre; e) compiuto il pellegrinaggio, dopo un breve ritorno in Francia, per l’ordinazione del suo successore, rimase poi a Berceto fino alla morte.
Il racconto di Flodoardo, pur coi suoi limiti, ci permette di stabilire con una certa sicurezza che il monastero di Berceto fu fondato prima della venuta di Moderanno, ma che solo con il suo arrivo e la dedicazione a S. Remigio assunse una grande importanza. No scioglie però l’interrogativo sulla vera ragione di tale importanza.
Fin qui le fonti che parlano direttamente del monastero di Berceto in età longobarda. Esistono tuttavia delle fonti indirette dell’VIII secolo, che, insieme alla conoscenza della storia di quegli anni, ci consentono di formulare un’ipotesi interpretativa. La prima di esse è uno dei due testamenti dell’abate Widerado in favore dell’abbazia di Flavigny, redatto nel 719, nel quarto anno di regno di Chilperico II, ad Autun, l’antica Augustudunum, in Borgogna. Fra i sottoscrittori di questo testamento il primo, dopo il testante Widerado, è Moderannus, Christi dono vocatus episcopus, quindi verosimilmente vescovo di Autun, tanto più che l’espressione da lui utilizzata è “consensi” ‘ho dato il mio consenso’ e non “subscripsi”, come nel caso di tutte le altre successive sottoscrizioni. Fatta salva l’improbabile ipotesi dell’esistenza in quel tempo di un vescovo omonimo a Rennes, città della Neustria, di cui nessuno ci dà notizia al di fuori di Flodoardo, bisogna quindi concludere che Moderanno era vescovo di Autun e che rimase in Francia almeno fino al 719.
Nel 719 si concluse la guerra fra i regni franchi con la vittoria di Carlo Martello, che li riunificò come ‘maggiordomo’ di Austrasia, Neustria e Burgundia, mentre Chilperico II, che pure aveva combattuto contro di lui, venne riconfermato re dei Franchi fino alla sua morte nel 721, ma senza alcun potere. Se dobbiamo credere a Flodoardo quando afferma che Moderanno partì per l’Italia durante il regno di Chilperico II, allora il pellegrinaggio si svolse nel 720, maad autorizzarlo, e forse a promuoverlo, fu certamente Carlo Martello. Potrebbe tuttavia trattarsi anche in questo caso di una
ricostruzione erronea di Flodoardo, e allora vanno considerati come possibile data del pellegrinaggio anche gli anni successivi fino al 726. Nel 725 infatti gli Arabi, nel corso di una delle loro offensive, che durarono vent’anni, dal 719, quando entrarono per la prima volta in Francia, fino alla vittoria di Carlo Martello presso il fiume Berre nel 739, conquistarono e saccheggiarono Autun.
Può essere stato questo il motivo immediato del pellegrinaggio di Moderanno, che svolse comunque certamente un ruolo nella preparazione dell’amicizia, ciòè dell’alleanza, fra Franchi e Longobardi, poi formalizzata nel 730. Quest’amicizia, che fu mantenuta durante tutto il regno di Liutprando e quello successivo di Rachis, ebbe il momento più alto nel 737, quando Pipino, figlio di Carlo Martello, venne inviato dal padre a Pavia da Liutprando che lo adottò come figlio. Negli anni immediatamente successivi Liutprando intervenne in Provenza contro gli Arabi che l’avevano invasa, mentre da parte sua Carlo Martello non accolse la richiesta di aiutodi Papa Gregorio III, contro Liutprando che lo minacciava.
L’importanza dell’insediamento a Berceto, nell’ambito dell’amicizia fra Liutprando e Carlo Martello, di un’abbazia guidata da ecclesiastici di origine franca è confermata, a nostro avviso, dal cosidetto ‘Epitaffio’ di Leodegar’, ritrovato e conservato a Filattiera, in Lunigiana. Questa epigrafe funeraria, arrivata a noi mutila della prima parte del testo e largamente illeggibile sul lato sinistro, è stata oggetto all’inizio del secolo scorso di un importante studio epigrafico e storico di Ubaldo Mazzini, a cui è seguito un ampio dibattito storico-geografico, e recentemente di una rilettura da parte di Ottavio Banti, che ha potuto avvalersi delle tecniche più moderna.
L’epigrafe parla di un importante personaggio che operò negli ultimi dieci anni della sua vita in Lunigiana e: a) distrusse gli idoli dei pagani, b) riportò alla fede chi se ne era allontanato, c) distribuì viveri ai poveri e sfamò i pellegrini, d) consegnò ogni anno le decime, e) edificò l’ospizio di San Benedetto e la chiesa di San Martino. Morì durante il regno di Astolfo, probabilmente nel 753, a un’età di circa 50 anni.
Il dibattito fra gli studiosi si è incentrato sul nome di questo personaggio, che si trovava certamente nelle prime righe dell’epigrafe andate perdute, se cioè si chiamasse effettivamente Leodegar, e ancor di più sul suo ruolo, se cioè fosse stato un ecclesiastico, oppure un potente e ricco proprietario terriero. In particolare il Mazzini, che riteneva che si trattasse di un vescovo di Luni di nome Leodegar che aveva stabilito la sua sede a Filattiera/Sorano invece che nella città di cui era titolare, basava la sua opinione su tre elementi: a) l’inserimento in due elenchi, per la verità assai recenti, di vescovi di Luni di un Leodegar (o Lentecarius), che avrebbe retto la diocesi nella prima metà dell’VIII secolo; b) un praeceptum del 751 redatto a Ravenna, in cui il re Astolfo conferma al monastero di Farfa e al suo abate Fulcoaldo il contenuto di quattro diplomi del duca Lupone di Spoleto, che gli erano stati presentati …per beatissimum virum Leodegarium episcopum, missum suprascripti monasterii… ; c) l’aver scoperto in una lastra fotografica, eseguita durante i lavori di restauro della chiesa dove era conservata l’epigrafe, l’immagine di pezzi di intonaco recanti graffite in diversi punti, e quindi verosimilmente in diversi tempi, gruppi di lettere, in alcuni casi formanti quasi l’intera parola, riconducibili a LEODEGAR o a LEUDGARD e a episcopo.
L’insieme di questi elementi porta anche noi a condividere l’opinione del Mazzini che il personaggio dell’epigrafe di Filattiera si chiamasse Leodegard e avesse la dignità di vescovo, ma non siamo per nulla convinti che sia stato vescovo di Luni: la tradizione che pone Leodegard fra i vescovi di Luni può infatti essere nata proprio dalla lettera dell’epigrafe e della scritta graffita che l’accompagnava. È invece praticamente certo che il Leodegard dell’epigrafe sia lo stesso del praeceptum del 751: lo dimostrano la coincidenza temporale con il decennio di permanenza in Lunigiana e il fatto che il nome Leodegar non ha attestazioni nell’onomastica longobarda, ma ne denuncia invece l’origine franca, assai probabilmente dalla stessa città di Autun di cui era stato vescovo Moderanno. Fra il 660 e il 676 fu infatti vescovo di Autun un altro Leodegar, poi martirizzato nel 678 a opera di Ebroin, maggiordomo di Neustria, dopo due anni di prigionia e orribili torture. Al martirio seguì immediatamente la nascita, soprattutto nelle terre di Borgogna ed Austrasia, di un culto popolare, poi ratificato dalla canonizzazione, per cui oggi un gran numero di chiese in Francia sono intitolate a Saint Léger. È facile quindi che un bimbo nato ad Autun nel 703, a venticinque anni dal martirio del santo vescovo della città, sia stato dato il nome di Leodegar. Lo stesso aveva 16 anni nel 719, quando Moderanno era certamente ancora vescovo di Autun, e può averlo conosciuto ed essere stato con lui in una relazione da allievo a maestro.
Su queste basi la nostra ipotesi, che offriamo alla discussione degli studiosi, è che Leodegar avesse intrapreso già in Francia la carriera ecclesiastica, diventando là vescovo, e abbia poi seguito, forse su chiamata, la stessa strada di Moderanno, venendo incaricato di operare in Lunigiana con l’obiettivo di completare la cristianizzazione, attrezzare il percorso dei pellegrini diretti a Roma e amministrare le terre che il monastero di Berceto vi possedeva. Il prestigio di cui Moderanno godeva presso la corte longobarda, così come nell’ambiente monastico, dovette trasferirsi , almeno in parte, a Leodegar, ciò che spiegherebbe anche il suo intervento presso Astolfo come ‘ambasciatore’ del monastero di Farfa, sito in Sabina, nel territorio del ducato di Spoleto, in una zona quindi ben lontana dalla Lunigiana e da Berceto.
La decadenza del monastero di Berceto, che non è possibile seguire nella sua progressione per l’assoluta mancanza di documenti che lo riguardino prima del decreto di Carlomanno dell’879, che ne sanciva la perdita dell’autonomia e l’assoggettamento al vescovo di Parma, dovette però iniziare subito dopo la morte di Leodegar, avvenuta intorno al 753. Alla morte di Astolfo nel 756, gli successe infatti sul trono longobardo Desiderio, che era duca di Brescia e fondò due monasteri dedicati entrambi al Salvatore, uno femminile, ubicato nella stessa città di Brescia, nel 753, ancor prima di salire al trono, e uno maschile un po’ più a sud, a Leno, nel 758, dove furono chiamati dei monaci da Montecassino. Desiderio e il figlio Adelchi, associato al trono nel 759, operarono durante tutto il corso del loro regno per dotare i due monasteri di ampie proprietà ed accrescere l’importanza. Fra i beni che un praeceptum del 772 di Adelchi, conferma al monastero del Salvatore, troviamo anche quanto da esso posseduto …in finibus Sorianense in loco que dicitur Monte Longo…, cioè verosimilmente lo xenodochio fatto edificare da Leodegar meno di trent’anni prima.
CRONOLOGIA DEI PRIMI ANNI DEL MONASTERO DI BERCETO
712 – Ascesa al trono longobardo di Liutprando. È questa la prima data possibile per la fondazione di Berceto, se si accetta l’affermazione di Paolo Diacono che fu Liutprando a promuoverla.
719 – Termina la guerra fra i regni Franchi con la vittoria di Carlo Martello, che li riunifica come maggiordomo di Austrasia, Neustria e Borgogna, sotto il regno, formale, di Chilperico II fino al 721 e di Teodorico IV dal 721 al 737. È di questo anno il primo ingresso in Francia degli Arabi, che conquistano Narbona e ne fanno la base per le successive incursioni. Nello stesso 719, quarto anno del regno di Chilperico, in Autun, l’antica Augustodunum, Moderanno è il primo a sottoscrivere col titolo di vescovo, quindi con ogni probabilità vescovo di Autun, il testamento di Widerado in favore del monastero di Flavigny.
720 – Con questo anno inizia il periodo, che termina con il 726, in cui poté avvenire il pellegrinaggio di Moderanno e il suo incontro con Liutprando, che gli affidò il monastero di Berceto, che già esisteva, insieme a un’ampia dotazione di terre.
725 – Durante una grande scorreria gli Arabi conquistano e saccheggiano Autun.
730 – Viene formalizzata l’amicizia fra Franchi e Longobardi.
732 – Nel corso di una delle loro incursioni nel cuore della Francia, gli Arabi vengono sconfitti da Carlo Martello a Poitiers.
737 – Pipino, figlio di Carlo Martello, viene inviato dal padre a Pavia da Liutprando, che lo adotta come figlio. È questo il momento più alto dell’alleanza fra Franchi e Longobardi. Nei due ani successivi vediamo infatti prima l’intervento di Liutprando in Provenza per cacciare gli Arabi, che l’avevano conquistata, permettendo la controffensiva decisiva di Carlo Martello, che con la vittoria del fiume Berre nel 739 pone fine dopo vent’anni alle incursioni degli Arabi in Francia, dove manterranno ancora per due decenni la sola Narbona. Poi il rifiuto opposto da Carlo Martello alla richiesta di Papa Gregorio III di intervenire in Italia contro Liutprando che lo minacciava.
741 –Muore Carlo Martello, che lascia il potere in Francia ai figli Carlomanno e Pipino.
743 – È probabilmente questo l’anno dell’arrivo in Lunigiana, all’età di quarant’anni, di Leodegar, che vi rimase dieci anni, fino alla morte. È possibile che vi sia stato chiamato da Moderanno: il suo nome infatti, certamente franco, lo collega alla città di Autun, di cui S. Leodegar fu vescovo e martire nella seconda metà del VII secolo.
744 – Muore Liutprando e gli succede Rachis.
747 – Carlomanno si fa monaco e Pipino concentra in sé tutto il potere in Francia.
749 – Il fratello di Astolfo succede a Rachis, che si ritira in convento, e inaugura una politica aggressiva verso i Bizantini e il papa che determinerà la fine dell’alleanza fra Franchi e Longobardi.
751 – Leodegar, recatosi come missus del monastero di Farfa e del suo abate Fulcoaldo presso la corte longobarda in Ravenna appena conquistata, chiede ad Astolfo di confermare quattro diplomi emessi da Lupone, duca di Spoleto, in favore del monastero.
753 – Leodegar muore. Nello stesso anno Desiderio, duca di Brescia, fonda in città il monastero femminile dedicato al Salvatore.
754 – Papa Stefano II, minacciato da Astolfo, si reca in Francia presso Pipino, che in un capitolato stilato a Quierzy si impegna insieme a suo figlio, il futuro Carlo Magno, a concedere al Papa, in caso di conquista dell’Italia, il territorio a sud di una linea che passava da “…Lunis, cum insula Corsica, deinde in Suriano, deinde in Monte Bardone, id est in Verceto…”. Nello stesso anno Pipino scende in Italia e sconfigge i Longobardi, che vengono a patti.
755 – Nuova discesa di Pipino in Italia e nuova sconfitta di Astolfo, che deve accettare condizioni più dure e nello stesso annp muore. Gli succede Desiderio.
758 – Desiderio fonda il monastero maschile di Leno. L’anno successivo associa al regno il figlio Adelchi.
772 – In un suo praeceptum Adelchi conferma al monastero del Salvatore i beni posseduti, fra cui quelli in loco que digitur Monte Longo.
744 – Carlo Magno scende in Italia, sconfigge Desiderio e Adelchi e si proclama rex Francorum et Longobardorum.
da: Archivio Storico delle Province Parmensi
della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi
Quarta serie, Volume LXIV – anno 2012, Parma 2013, pp. 165-180
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